La vera prigione

Questa è una poesia di Ken Saro Wiwa.
A me piace molto.
Oggi è l’anniversario della sua morte.

 

Non è il tetto che perde
Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
Nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
Mentre il secondino ti chiude dentro.
Non sono le meschine razioni
Insufficienti per uomo o bestia
Neanche il nulla del giorno
Che sprofonda nel vuoto della notte
Non è
Non è
Non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato
Le orecchie per un’intera generazione
E’ il poliziotto che corre all’impazzata in un raptus omicida
Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
In cambio di un misero pasto al giorno.
Il magistrato che scrive sul suo libro
La punizione, lei lo sa, è ingiusta
La decrepitezza morale
L’inettitudine mentale
Che concede alla dittatura una falsa legittimazione
La vigliaccheria travestita da obbedienza
In agguato nelle nostre anime denigrate
È la paura di calzoni inumiditi
Non osiamo eliminare la nostra urina
E’ questo
E’ questo
E’ questo
Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
In una cupa prigione.

Mantra, tipo.

Siccome penso che avrò dei figli prima o poi. E penso che mi odieranno. E poi penso che quando io sarò morta si sentiranno un po’ in colpa e verranno a visitare i blog in cui ho scritto. Allora trovo molto bello lasciare una specie di traccia del mio tempo e di come lo vivo.

E quindi vorrei fare notare loro che ascolto questa canzone da circa dieci giorni, che ascolto solo questa canzone da circa dieci giorni. E che nella mia agenda ho una pagina intera in cui c’è scritto Ti respiro nei miei caffè. E’ scritto grosso. Io scrivo molto piccolo. Chissà come scriverò da vecchia.  Chissà se diventerò vecchia.

E io ascolto questa canzone e apro l’agenda. E c’è scritto Ti respiro nei miei caffè.
E’ scritto così grosso.
E io sorrido di me un po’ e poi mi prendono di nuovo le strette allo stomaco.

Ah, la canzone: eccola.