Tentativi di approccio

-Ciao, sono Marco. Ho trent’anni. Sono un dottore. Piacere.
-Ciao Marco, piacere mio.- rispondo distrattamente mentre leggo di come non confidare i segreti a una capra.
-Tu?
-Beh, io ho ventitré anni.
-Ah, sei piccina.
-Insomma dipende… per fare cosa?
-No, va beh a ventitré anni si è piccoli dai…Comunque ne mostri meno.
-Ah, li porto bene allora.
-Divinamente direi. Sei fidanzata? Hai un anello al dito? E’ del tuo fidanzato?
-E’ il regalo di un mio amico.
-Ah, amico si chiamano così ora… Quindi non sei fidanzata?
-Non lo so, direi di no.
-Come non lo sai?
-Non lo so.
-Ah, e come mai non sei fidanzata?
-Non lo so.
-Ah, ti vedo sai. Sei rimasta bruciata dall’ultima storia.

Mi guardo attorno per verificare di non avere addosso della cenere.

-Ma no, non credo, non proprio.
-Sì, dai si vede. Quanto è durata la tua ultima storia? Sei un tipo da storie serie o sei un po’ pazzerella?
-Che domanda è?
-Hai ragione, dai fai finta che non abbia detto nulla. Insomma dai quanto è durata la tua ultima storia?
-Tre.
-Mesi?
-No.
-Settimane?
-No.
-Ah. Ah. Anni?
-Già.
-Uh, allora ci sei rimasta male per forza. Ora avrai sicuramente bisogno di svagarti un po’, No? Dai sorridi su. Devi essere felice, guarda che bel ragazzo che hai incontrato oggi.

Quel dai sorridi, mi fa spostare lo sguardo. Viene magneticamente attratto dai cartelloni pubblicitari. Le pubblicità ridono. Le pubblicità sono felici. Le pubblicità ti lasciano uno strano senso di colpa perché tu non stai ridendo, tu non sei felice. Devi essere felice. Devi sorridere. Lo dice anche “Ciao sono Marco e ho trent’anni”.
Devo abbracciare Marco e sorridere, sorridere, sorridere. Sorrido a metà tra l’imbarazzato e l’infastidito. Il pensiero di dovere abbracciare Marco per potere essere felice mi fa venire i brividi.

-Ah, vedi che bel sorriso, sono riuscito a farti sorridere sono già un passo avanti. Insomma, ma a te che tipo di uomo piace? Che tipo di uomo vuoi? Vuoi l’uomo serio, rompipalle, che ti fa da babbo?o vuoi l’uomo simpatico, allegro, solare che ti fa ridere? Vuoi l’uomo insicuro che ad ogni passo non sa che decisione prendere?o vuoi l’uomo sicuro di sé che sa quello che vuole?

I suoi gesti, il suo linguaggio corporale e il suo tono di voce dicono chiaramente che Marco è secondo lui l’uomo allegro, solare e sicuro di se. E’ buffo Marco. Ha un modo di ragionare così strano e comune.

-Vedi, io non penso di volere un uomo…
-Ah, dovevi dirlo prima. Sei lesbica?
-No, non credo. La parte importante della mia risposta era il verbo ausiliario.
-Ah.
-Cioè, io non penso di volere.
-Ah. Quindi tu non vuoi?
-Già.

-Tutti vogliono. Tutti hanno dei desideri. Anche tu vuoi, anche tu hai in mente un prototipo di ragazzo che vuoi al tuo fianco, solo che non me lo vuoi dire, hai anche ragione, per carità, non mi conosci, però non puoi dire “io non penso di volere” che senso ha?

-Mah, forse hai ragione.

-Io per esempio voglio trovarmi un lavoro. Voglio andare via di casa. Voglio avere accanto a me una donna solare, allegra e sicura di sé, un po’ come me, e voglio farmi una famiglia. Tu? Vuoi una famiglia anche tu?

-Beh, io non lo so.

Mi guarda perplesso- Come non lo sai? Non ne sei ancora uscita dalla tua ultima storia eh? Ti ha fatto soffrire così tanto?
-Perché colleghi tutto a questo?

-Vedrai, non ci sono altre spiegazioni. Tutti sanno quello che vogliono. Sei un po’ confusa perché stai soffrendo tanto. Probabilmente tu volevi una famiglia con lui, pensavi di vivere tutta la tua vita con lui e ora sei spiazzata.

-Credo che la cosa sia un po’ più complessa. E francamente quello che dici tu non penso che c’entri molto.
-Allora cos’è?
-Io non lo so, ma non è poi così collegato alla mia vita sentimentale, cioè io sono altro, cavolo.
-Quindi mi vuoi dire che a te tre anni buttati via ti hanno lasciato indifferente? Ma dai…

Lo guardo perplessa, perché sono tre anni buttati via? Da cosa lo deduce? – Non sono tre anni buttati via, non lo sono affatto.

-Ah, tu sei ancora innamorata di lui. Ti ha lasciato lui?
-No. No.
-Ehm, non mi convince.
-No. Non c’entra niente.

Lo vedo perplesso come del resto sono perplessa io. Non parliamo la stessa lingua. Io non lo comprendo e lui non capisce me. Mi stranisce quella sua sicurezza. Quel suo sapere. L’immagine che ha di se. Mi lascia basita. Io non so davvero se voglio farmi una famiglia. Lui lo sa, e sa anche che vuole trovare un lavoro, che vuole trovarsi una casa. Lui sa e lui sorride, come le pubblicità. Lo saluto perché mi fa male.

-Ciao piccola, quando deciderai di crescere e avere le idee più chiare, e soprattutto quando dimenticherai il tuo vecchio amore fammi un fischio. E sorride. Come le pubblicità.

Perché lui ha un’idea di me più chiara della mia su me stessa? Mi assale un pensiero, un pensiero cantato: prendimi le mani, prendimi le mani, abbracciami, abbracciami e insegnami a sorridere come le pubblicità, insegnami a sorridere della mediocrità.

Poi mi giro, riguardo Marco, e in improvvisi abissi di silenzio e di confusa serenità nasce una tacita preghiera, rivolta a chissà chi: prendimi le mani, abbracciami, mostrami cos’è l’amore, insegnami la felicità.