La storia di Giove Versor e Dio ( ATTENZIONE: alto contenuto allegorico)

Giove Versor era un simpatico ragazzo. Il nome potrebbe ingannarti. Potresti pensare che lui abbia qualcosa a che fare con Giove il re degli dei, ma insomma il paganesimo l’abbiamo abbandonato da un pezzo. Giove Versor era soltanto un simpatico ragazzo ventenne. Era narciso, egoista ed egocentrico. E si credeva un po’ dio, ma non era dio. Faceva tante cose, ma l’occupazione che più lo dilettava in assoluto era: scombussolare.  Era uno scompigliatore di professione.  Questa occupazione gli dava molte soddisfazioni; più volte le persone lo guardavano con occhi spaventati, meravigliati, e Giove Versor ne gioiva. Oh se ne gioiva! Viveva per quello. Era uno scompigliatore, l’abbiamo detto. In questo modo allontanava tutte le persone che gli capitavano a tiro, nessuno gli stava accanto e viveva solo della sua ombra da re degli dei. Tale si credeva lui. Ah la gioventù…

Un giorno un certo Dio apparve in sogno a Giove Versor. La cosa, come si può immaginare, lo scompigliò perché Giove Versor era a un po’ pagano e pensava di essere lui il re degli dei. Fece fatica a credere a quella visione. Ma la vita si sa che confonde anche le più arcaiche e consolidate credenze e tant’è che nonostante la sua sorpresa  Dio, proprio Dio, gli apparve in sogno e Giove se ne fece una ragione. Gli dimostrò di essere Dio, non sappiamo bene come.  Giove Versor smise di essere pagano per qualche minuto e ascoltò Dio.

“Giove Versor tu ti diverti a scombussolare la gente non è vero?”

Giove non poté non ammettere la verità.

“Giove Versor perché lo fai?”

Giove rispose di nuovo con il massimo della sincerità. Disse che vedere gli occhi terrorizzati, vedere le facce spaventate, e le persone che pensavano di conoscerlo che non sapevano darsi una spiegazione dei suoi comportamenti e delle sue parole gli dava soddisfazione. Stupire era la via che si era scelto.

Allora Dio disse a Giove: “Giove Versor, tu dici che non dare punti di riferimento a chi sta vicino ti fa stare bene n’è vero?” Giove annuì. Allora Dio continuò: “ Giove Versor tu hai mai amato?”

Giove rispose che non lo sapeva davvero. Dio domandò: “Giove Versor che vita è la tua se tu non sai se hai amato? Che cosa hai fatto in tutto questo tempo? Perché non hai amato?”

Giove rispose che lui aveva disorientato.

“Giove Versor tu non hai amato! Perché?” chiese Dio minaccioso.

Giove spaventato ammise che non aveva amato perché non aveva trovato nessuno da amare. Perché nessuno lo capiva e tutti abboccavano a quella storia del disorientare. Tutti perdevano la bussola e allora lui si allontanava e se ne andava. Non amava le persone disorientate. Giove amava solo disorientare.

Dio disse: “Giove Versor tu sei un’idiota! Prima ti credi re degli dei e re degli uomini. Poi pensi che il senso della tua vita sia quello di scompigliare, mischiare, confondere. Una persona sana di mente potrebbe mai pensare questo? Giove Versor tu non hai capito niente, e hai perso tempo e persone, ma Io ti darò un’altra possibilità. Sfruttala! Domani alle tre arriverà la persona che ti amerà. Colei che ti salverà. Ma non ti ingannare.” Dio scomparve.

Giove pensò. Vedere Dio gli era piaciuto tutto sommato. L’idea di incontrare la persona che l’avrebbe amato e che lui avrebbe amato lo rallegrava. Era euforico. Guardava l’orologio in continuazione. Decise che l’amore della sua vita si meritava di trovarlo nelle migliori condizioni possibili. Doveva essere bello. Quindi andò dal barbiere. Si lavò, si profumò. Andò anche da un prete dopo anni. Voleva che il suo amore lo vedesse pulito fuori e dentro. Si addormentò pensando al posto in cui l’avrebbe incontrata. Anche il posto doveva essere perfetto. Scelse.  Mentre dormiva con il corpo che straboccava dal letto rischiando di cadere da un momento all’altro suonò il citofono. Si alzò dal letto intimorito. Era tardi. Alla porta una ragazza spaventata. La vita l’aveva terrorizzata. L’aveva sconfitta. Non disse nulla a Giove, lo guardò. Giove non la riconobbe. Non sapeva riconoscere. Lei lo guardò un altro po’ e poi se ne andò via per sempre. Erano le tre. Giove si addormentò di nuovo un po’ stranito da quella visione.
Il giorno seguente si svegliò euforico. Si lavò, si profumò, si pettinò e andò nel suo posto preferito. Aspettava con ansia due cose: il tempo e l’amore. Delle due solo una si presentò puntuale: le ore tre. Aspettò Giove. Si guardava intorno cercava di riconoscerla. Si immaginava tutte le donne che vedeva come donne della sua vita, si immaginava una vita insieme a loro, ma nessuna si presentò davanti a lui. Giove si disperò. Iniziò a dire che Dio era un falso, un bugiardo.
Allora Dio si presentò di nuovo a lui.

“Giove Versor- disse- allora è arrivato il tuo amore?”

“Sei un bugiardo Dio. Perché ti prendi gioco di me? Perché prima mi dai l’illusione di potere trovare finalmente quello che stavo cercando da tempo e poi mi inganni?”

“Giove Versor, stai attento a come parli. Ti avevo detto di non ingannarti. Tu ci sei cascato. Eri troppo preso a pensare a come rendere perfetto l’incontro con l’amore della tua vita. Pensavi a farti bello, a renderti pulito. Tu pensi solo a te Giove Versor, e te la sei fatta sfuggire come uno sciocco.”

“Ma cosa dici? Nessuno mi è venuto a trovare. Mi avevi detto che l’amore della mia vita sarebbe venuto a trovarmi alle tre. Nessuno è venuto. Sei un bugiardo Dio.”- Giove era veramente deluso.

“Giove Versor- urlò Dio- è forse venuta a trovarti una donna ieri notte? Erano le tre. Lei era la donna. La tua donna. Tu non te ne sei accorto. Non l’hai riconosciuta. Tu sai solo immaginare Giove Versor, fantasticare. E lei era lì. Reale. Ti è venuta a trovare. Non l’hai riconosciuta.”

Giove si disperò. Pianse. Si rotolò a terra dal dolore.

“Ah me misero! Che idiota sono stato. Perché non me ne sono accorto?”

Allora Dio, che è un gran burlone, per alleviargli il dolore si trasformò in Francesco Guccini e gli cantò “bisogna saper scegliere il tempo, non arrivarci per contrarietà”. Giove pianse mentre Dio se la rideva sotto la barba.

11 pensieri su “La storia di Giove Versor e Dio ( ATTENZIONE: alto contenuto allegorico)

  1. Simpatico l’accostamento Guccini-Dio, in effetti dopo qualche bicchiere di rosso, potrebbe anche essere. Ma a me interessa la ragazza, ti ci ritrovi?

  2. Credi? Penso ci sia di più: l’io di cui l’io parla appare come un noi diviso, un singolare essere plurale sottratto a se stesso perso nei labirinti dei significanti…Rileggiti:

    “Era tardi. Alla porta una ragazza spaventata. La vita l’aveva terrorizzata. L’aveva sconfitta. Non disse nulla a Giove, lo guardò. Giove non la riconobbe. Non sapeva riconoscere. Lei lo guardò un altro po’ e poi se ne andò via per sempre”.

    1. Sì. Infatti così l’io diviso può ritrovare l’unità in una specie di sintesi dialettica. Più difficile che trovi l’altro, infinitamente altro che sembra Giove vorrebbe o dovrebbe trovare fuori o dentro di sè.

      1. Concordo, il nodo è dato proprio dall’identificazione interdetta o se si vuole dall’unità dialettica di cui si diceva. All’io è precluso di ritrovarsi nei significanti forniti dall’altro (Giove, Dio) anzi è il significante dell’altro, sbarrato o precluso che rimanda l’escrescenza egologica (l’io, il me) alla sua propria ek-sistenza di soggetto sbarrato, diviso e separato da sé.

  3. Deum non vides tamen deum agnscis ex operibus suis. Non vedi Dio ma lo riconosci dalle sue opere. Parole di Cicerone. Prima che il dio cristiano fosse modellato sul Giove, dio del cielo, padre degli Dei e degli Uomini. Come dice la preghiera: Padre nostro che sei nei cieli. E’ lui.

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